MILANO – Ogni anno 4.500 italiane vengono colpite dal tumore dell’ovaio e troppe, quasi tremila, muoiono per le conseguenze della malattia. Oggi, infatti, otto volte su 10 si arriva alla diagnosi quando il cancro è già in fase avanzata e la sopravvivenza è appena del 30 per cento: in questi casi, anche se si interviene, il tumore si ripresenta nell’80 per cento dei casi. «Per migliorare la situazione – dice Marco Venturini, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom)- servono maggiore informazione alle donne e una gestione della malattia condivisa fra oncologo e ginecologo»
L’INDAGINE – Secondo i dati di un’indagine che ha coinvolto oltre 1.100 esperti, invece, la collaborazione è attualmente ritenuta insufficiente dal 63 per cento dei primi e dal 32 per cento dei secondi. «Purtroppo non esiste per questa neoplasia l’analogo della mammografia – continua Venturini -, per questo dobbiamo spiegare alle donne quali siano i sintomi. Identificarli non è facile, sono spesso sfumati e generali, molto simili ai ben più frequenti disturbi gastrointestinali: stitichezza, sensazione di gonfiore addominale, diarrea, difficoltà digestive, nausea». In caso di dolori sospetti, dunque, è consigliabile fare subito una visita ginecologica, un’ecografia e il dosaggio del marcatore tumorale CA 125, per stabilire se ci troviamo in presenza di un carcinoma ovarico. «In base allo stadio tumorale, si decide immediatamente per un intervento chirurgico, con l’obiettivo di eliminare la totalità della neoplasia visibile – spiega Nicoletta Colombo Direttore dell’Unità di Ginecologia Oncologica, Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) Bisogna puntare allo “zero residuo”, cioè non vedere più ad occhio nudo nessun segno di malattia. Segue poi un trattamento chemioterapico, per migliorare per quanto possibile la prognosi della paziente e l’eventuale trattamento con i farmaci biologici».
INSORGE DOPO LA MENOPAUSA – Il tumore dell’ovaio insorge soprattutto dopo la menopausa, è il sesto cancro femminile più diffuso al mondo, ma rappresenta la più comune causa di morte per neoplasie ginecologiche. Per battere sul tempo la malattia e diagnosticarla agli stadi iniziali, quando è possibile puntare alla guarigione, gli specialisti puntano soprattutto su una migliore informazione alle donne. Oltre ai sintomi a cui prestare attenzione, molto si può fare anche insistendo sui fattori di rischio evitabili, come il fumo e il sovrappeso. «Inoltre – conclude Nicola Surico, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo) – sappiamo che ci sono maggiore probabilità di ammalarsi per chi non ha figli, chi ha avuto un menarca precoce e una menopausa tardiva. Si sottovaluta inoltre il peso della familiarità: chi ha una madre, una sorella o una figlia affetta da carcinoma ovarico va sottoposta ad un attento monitoraggio».
Fonte: Sportello Cancro