Tumori, come gestire gli effetti collaterali della terapia ormonale nelle donne

Vampate, sbalzi d’umore, difficoltà di memoria, affaticamento, calo del desiderio sessuale, dolori osteoarticolari e osteoporosi, secchezza vaginale, insonnia solo per citarne alcuni. L’elenco dei disturbi è lungo e molte donne sopportano in silenzio, altre abbandonano le cure, ma i rimedi ci sono: è fondamentale parlare con l’oncologo, 

Ogni anno in Italia a 40mila donne circa viene prescritta una terapia ormonale (chiamata anche endocrina) per il tumore al seno e, in minor misura, per alcune forme più rare di neoplasia dell’endometrio e dell’ovaio. Utilissima per trattare in modo efficace la malattia e per prevenire le recidive, l’ormonoterapia va assunta a lungo (da 5 fino a 10 anni) ed è generalmente considerata «ben tollerata» dalle pazienti, soprattutto se messa a confronto con l’assai più temuta chemioterapia. Il suo impatto però può essere importante per la qualità di vita delle donne, con conseguenze sull’intimità e i rapporti sessuali, sul benessere psicologico e sulla salute delle ossa, ma qualcosa si può fare per arginare gli effetti collaterali che sono più pesanti proprio nelle donne giovani.

«Ormoni come gli estrogeni o il progesterone sono espressi dalla maggior parte dei tessuti normali e regolano importanti e variegate funzioni biologiche nella donna. Questi stessi ormoni possono anche stimolare la crescita di alcuni tipi di tumori quando questi ne esprimono i recettori — risponde Giampaolo Bianchini, responsabile dell’Oncologia della mammella all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano —. Per esempio, circa il 75 per cento dei tumori alla mammella esprime i recettori per l’estrogeno e/o il progesterone. La terapia endocrina, riducendo la produzione di questi ormoni o contrastandone l’azione sui recettori, blocca lo stimolo alla proliferazione delle cellule cancerose fino a determinarne la morte. Può essere prescritta (da sola o in combinazione ad altre terapie) a scopo terapeutico in presenza di metastasi oppure per ridurre il rischio di recidiva e pertanto aumentare la probabilità di guarigione in donne operate. Sull’utilizzo della terapia endocrina come farmaco-prevenzione in donne sane, i pareri invece sono ancora discordanti».

Le principali endocrinoterapie approvate e utilizzate in Italia sono: il tamoxifene che, a seconda dell’organo bersaglio, svolge un’azione pro-estrogenica o anti-estrogenica; gli inibitori dell’aromatasi (anastrozolo, letrozolo, exemestane), che bloccano la conversione degli androgeni in estrogeni nei tessuti periferici; gli LH-RH analoghi antagonisti (triptorelina, goserelin, leuprorelina acetato), che agiscono sopprimendo l’attività ovarica con conseguente blocco del ciclo mestruale e della produzione di estrogeni e induzione di una menopausa farmacologica.

«Benché effetti collaterali gravi siano rarissimi, l’ormonoterapia può provocare una serie di disturbi di entità variabile che possono impattare, a volte in modo significativo, sulla qualità di vita — spiega l’esperto —. Questi effetti collaterali dipendono in parte dal composto utilizzato, per il differente meccanismo d’azione, e dall’età della paziente. In generale la terapia ormonale può esacerbare, nelle donne già in menopausa, o far comparire nelle donne in pre-menopausa, sintomi tipici della menopausa quali vampate di calore e sudorazione abbondante, sbalzi di umore, difficoltà di memoria, senso di affaticamento, calo del desiderio sessuale, dolori osteoarticolari, riduzione della densità ossea (osteoporosi), secchezza vaginale con possibili implicazioni sul rapporto di coppia, ritenzione idrica, insonnia, alterazione del metabolismo lipidico con aumento dei livelli di trigliceridi e colesterolo nel sangue e aumento di peso». «Alcuni disturbi sono più specifici come disturbi della circolazione venosa (fino ad episodi rari di trombosi venosa profonda) e un lieve incremento di rischio di neoplasie dell’endometrio per il tamoxifene, o i dolori osteoarticolari e la rigidità mattutina per gli inibitori dell’aromatasi. L’impatto più significativo si ha nelle donne più giovani, interferendo anche nella sfera procreativa. La cosa più importante e parlare con il proprio oncologo di tutti questi effetti collaterali, per identificare insieme, ogni volta possibile, una strategia per mitigarli».

«L’approccio farmacologico deve seguire, o quanto meno andare di pari passo con, modifiche dello stile di vita — sottolinea Bianchini —. Tutti i farmaci utilizzabili sono essenzialmente dei “sintomatici”, in quanto l’uso di estrogeni è ovviamente non consentito. I farmaci antinfiammatori o analgesici come il paracetamolo possono essere utili al bisogno per la gestione dei dolori osteomuscolari. Nella gestione delle vampate o le alterazioni del tono dell’umore possono può essere utile l’assunzione a basse dosi di alcuni antidepressivi come la venlaflaxina. Importante è la gestione/prevenzione dell’osteoporosi, coordinata insieme a un endocrinologo, con la supplementazione adeguata di calcio, vitamina D e (quando indicati) i bifosfonati o il denosumab». «Anche contrastare la sindrome genitourinaria (caratterizzata da secchezza vaginale, dolore ai rapporti sessuali, bruciore, calo della libido, accompagnati a volte da sintomi urinari) è importante nel mantenimento di una buona qualità di vita e dell’aderenza al trattamento. In questo caso vengono in aiuto diverse terapie locali, come gel lubrificanti, creme a base di acido ialuronico e (in alcuni casi) il ricorso al laser vaginale, anche se purtroppo attualmente non è ancora rimborsato dal Servizio sanitario nazionale. Altri presidi farmacologici, come l’uso di ospemifene, vanno considerati in casi particolari al termine della terapia ormonale e discussi con il ginecologo e l’oncologo. Per la gestione di alcuni effetti collaterali utile affiancare una terapia psicologica-comportamentale e in alcuni casi il ricorso all’agopuntura e alle tecniche di rilassamento».

«Adottare degli stili di vita corretti può migliorare lo stato di salute generale delle pazienti e ridurre gli effetti indesiderati del trattamento — ricorda Bianchini —. Un ruolo chiave e trasversale è giocato dall’esercizio fisico, che permette di mantenere il peso corporeo o ridurre il sovrappeso qualora presente e riduce l’incidenza di osteoporosi e delle sue complicanze, la sindrome vasomotoria (vampate), ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e i meccanismi di insulino-dipendenza. Se non ci sono controindicazioni, l’esercizio fisico raccomandabile e consigliato è un’ora di attività aerobica a intensità medio/elevata per tre volte alla settimana». «Così si riduce anche il rischio d’insorgenza di numerosi tipi di neoplasia, incluso il carcinoma mammario; ha quindi ha anche un effetto preventivo sulle recidive. Ginnastica e pilates contribuiscono a diminuire dolori osteoarticolari e rigidità mattutina. Per la gestione delle vampate, uno dei sintomi più comuni, è importante evitare di eccedere con la caffeina e l’alcol e occorre smettere o ridurre il fumo. Anche attività di rilassamento come lo yoga, la meditazione e gli esercizi di respirazione possono essere utili. Così come mantenere la temperatura degli ambienti più mite e vestirsi a strati. Un’alimentazione sana e variegata aiuta a prevenire l’osteoporosi, gestire l’alterazione del metabolismo dei lipidi e mantenere un controllo ottimale del peso, oltre a migliorare molti aspetti di benessere complessivo».

La durata della terapia ormonale dipende principalmente dall’intento con cui viene somministrata. Quando la malattia è metastatica, la cura viene data a tempo indefinito, salvo dimostrazione di inefficacia o scarsa tolleranza soggettiva. Se il tumore è invece ai primi stadi, quando l’ormonoterapia viene prescritta dopo la chirurgia per ridurre il rischio di comparsa di una recidiva, la durata è di un minimo di 5 fino a un massimo di 10 anni in casi selezionati ad alto rischio. «Attualmente si è visto che per molte donne che hanno elevate probabilità di recidiva, 7 anni di terapia possono essere sufficienti — dice Bianchini —. La durata ottimale viene comunque sempre valutata caso per caso tenendo conto non solo del beneficio atteso, ma anche della tollerabilità soggettiva. Le pazienti che pensano di interrompere la cura ormonale prima della durata prevista dovrebbero sempre parlarne con il loro oncologo, per una scelta informata e consapevole che tenga conto anche dei rischi in termini di riduzione di efficacia attesa».

Sebbene gli effetti collaterali siano per lo più di entità lieve-moderata, anche in considerazione del periodo di assunzione prolungato, possono avere un impatto rilevante sulla qualità di vita delle pazienti e inficiare l’aderenza al trattamento. Uno studio ha dimostrato che l’aderenza al trattamento raggiungeva valori medi del 66% a 5 anni dall’avvio del trattamento, riducendosi progressivamente dal primo al quinto anno. Purtroppo è stato dimostrato che durate inferiori a quelle pianificate riducono parzialmente l’efficacia della terapia ormonale.  «Tentare di gestire gli effetti collaterali dei farmaci in autonomia, ricorrendo a volte a integratori disponibili sul mercato e non condividendo informazioni su tali farmaci coi propri medici curanti è una pratica dannosa che può inficiare sia la gestione corretta degli effetti collaterali che l’efficacia del trattamento — spiega l’oncologo —. Va evitato di ricorrere ai fitoestrogeni nel tentativo di ridurre gli effetti da deprivazione ormonale causati dalla terapia. Derivati della soia o del trifoglio rosso, contengono fitoestrogeni, in particolare isoflavoni (genisteina, daidzeina e gliciteina dalla soia e biocanina A e formononetina dal trifoglio), sostanze che hanno una blanda azione sia estrogenica sia antiestrogenica e vanno pertanto assunte con molta cautela e sempre solo dopo eventuale consenso dell’oncologo».

La maggior parte degli effetti collaterali dell’ormonoterapia, e dovuti alla stessa, si risolvono in genere alla conclusione del trattamento. Alcuni sintomi possono persistere, come conseguenza dei sintomi naturalmente associati alla menopausa che sono simili a quelli dati dalla terapia ormonale. Ci sono però alcuni effetti collaterali, che se non adeguatamente gestiti nel corso della terapia, possono permanere (o solo parzialmente migliorare) al termine: per esempio essenziale è la gestione-prevenzione in corso di endocrinoterapia dell’osteopenia e osteoporosi, con adeguata terapia di supporto per l’osso. Inoltre, importante è la terapia della sindrome urogenitale, che se non adeguatamente trattata durante la terapia ormonale può lasciare, soprattutto nelle donne più giovani, esiti sia di tipo fisico come dispareunia e dolore al rapporto, sia di tipo psicologico, non facilmente recuperabili in modo soddisfacente».

Potrebbero
interessarti