Gli esercizi due volte a settimana diminuiscono il dolore e il fiato corto, migliorano la resistenza e la vita sociale e riducono i livelli di fatigue, uno degli effetti collaterali più debilitanti e diffusi delle cure oncologiche
Tra le pazienti che un tumore al seno metastatico, quelle che hanno partecipato a un programma strutturato di esercizio fisico durato nove mesi hanno sofferto meno stanchezza fisica e avuto una qualità di vita migliore rispetto a chi non ha fatto ginnastica. I benefici sono stati misurati scientificamente da una sperimentazione i cui risultati sono stati presentati nei giorni scorsi durante il congresso americano San Antonio Breast Cancer Symposium. Un’ulteriore nuova conferma dei vantaggi del praticare regolarmente sport: ormai moltissimi studi scientifici, condotti su milioni di persone, hanno dimostrato come aiuti a prevenire diversi tipi di neoplasie, a guarire più in fretta e a diminuire notevolmente il rischio di ricadute, oltre a vivere meglio durante e dopo le cure.
Lo studio
Per lo studio PREFERABLE-EFFECT sono state arruolate 357 donne con un carcinoma mammario metastatico e a tutte le partecipanti sono stati suggerimenti sulla ginnastica da fare e una traccia di programma da seguire . Una metà delle pazienti, però, ha anche effettuato per nove mesi due lezioni settimanali supervisionate da specialisti con esercizi aerobici, di equilibrio e di resistenza. Dopo tre, sei e nove mesi i due gruppi hanno risposto a questionari sulla qualità di vita relativamente al benessere fisico, mentale, emozionale e finanziario e a tutti i controlli le partecipanti che seguivano i corsi bi-settimanali hanno ottenuto punteggi significativamente superiori. In particolare l’attività fisica regolare ha diminuito il dolore e il fiato corto, migliorato la resistenza e la vita sociale, ridotto i livelli di fatigue, uno degli effetti collaterali più debilitanti e diffusi delle cure oncologiche.«La fatigue è un complesso di sintomi che porta a una riduzione dell’energia fisica, delle capacità mentali e ha riflessi anche sullo stato psicologico – spiega Saverio Cinieri, presidente di Fondazione Aiom, Associazione Italiana di Oncologia Medica -: troppo spesso viene sottovalutata, perché considerata inevitabile “parte integrante” della vita di un paziente oncologico. Invece c’è qualcosa che si può fare per arginarla, a partire da ginnastica e sostegno psicologico».
52mila italiane con cancro al seno metastatico
Tutti i trattamenti anticancro possono provocare conseguenze indesiderate durante o immediatamente dopo le terapie, alcune sono molto comuni come: irritazioni cutanee, nausea e vomito, diarrea, infiammazioni del cavo orale, perdita dell’appetito e di peso, gonfiore di braccia o gambe (o linfedema) sono diffusissimi. L’entità del disturbo in parte è soggettiva e in parte dipende da qual è e quanto è «pesante» la cura prescritta al singolo malato, sia che si tratti di radioterapia che di chemioterapia o nuovi farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapia (che sono sì meno tossici, ma non scevri da effetti collaterali).«E’ importante parlarne con il medico perché in molti casi esistono rimedi in grado di contrastare questi problemi – sottolinea Cinieri -. In Italia vivono circa 52mila persone con tumore della mammella metastatico, un numero in costante aumento: sono pazienti che oggi riescono a convivere con la malattia per molti anni e che devono essere prese in carico da un team multidisciplinare, cioè dai centri di senologia, in grado di intercettare e soddisfare il loro bisogno di cura globale e duraturo, affinché il tempo a loro disposizione non sia solo più lungo ma anche di buona qualità».
Nuove cure
Al convegno di San Antonio, in Texas, sono stati presentati anche i risultati di molte sperimentazioni sul cancro al seno. Tra questi, i dati dello studio MONARCH 3 che ha valutato abemaciclib in combinazione con un inibitore dell’aromatasi rispetto al solo inibitore come terapia endocrina iniziale nelle pazienti in post-menopausa con tumore del seno avanzato o metastatico positivo al ricettore ormonale (HR+), negativo al recettore del fattore di crescita umano epidermico di tipo 2 (HER2-). Al follow-up a otto anni, gli esiti indicano che le donne trattate con abemaciclib e un inibitore dell’aromatasi avevano una sopravvivenza globale mediana di più di 5,5 anni (un incremento di 13,1 mesi rispetto al braccio di controllo, in complesso 66,8 rispetto a 53,7 mesi). Nelle donne con metastasi localizzate a livello viscerale (fegato o polmoni), i dati hanno mostrato una sopravvivenza globale mediana di più di cinque anni, con un aumento di 14,9 mesi nel gruppo abemaciclib rispetto a quello di controllo (63,7 rispetto a 48,8 mesi). «Al controllo a otto anni, quando la storia naturale del carcinoma mammario metastatico inizia ad avere un impatto sostanziale sulla sopravvivenza delle pazienti, è molto incoraggiante vedere che abemaciclib in combinazione con un inibitore dell’aromatasi ha prodotto una differenza di sopravvivenza di 13 mesi e di oltre 14 mesi nelle donne a rischio ancora più elevato a causa della malattia viscerale» commenta Lucia Del Mastro, Professore Ordinario e direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova.
Diagnosi in stadio precoce
Gli esiti aggiornati del trial NATALEE riguardano invece le donne con una diagnosi in stadio precoce: «Oltre il 90% delle pazienti con diagnosi di carcinoma mammario presenta la malattia in stadio iniziale – ricorda Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare all’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli -. Nonostante la terapia ormonale post-chirurgia (che è lo standard di cura), le pazienti con recettori ormonali positivi e HER2 negativo (che sono la maggioranza, il 70% dei nuovi casi), restano a rischio di recidiva. I risultati aggiornati dello studio NATALEE consolidano e rafforzano ciò che era già emerso: l’aggiunta della terapia mirata con ribociclib all’ormonoterapia standard riduce il rischio di recidiva del 30% nei pazienti con tumore di stadio II e del 24% in quelli di stadio III».