Effetti collaterali delle cure: serve più sostegno ai malati dopo il trattamento per un tumore

Le terapie di ultima generazione sono più tollerabili, ma possono restare alcuni disturbi: sono diffusi e bisogna parlarne con il medico

Lo si potrebbe definire un gran bel problema. Grande perché interessa milioni di persone in Italia e nel mondo, «bello» perché deriva dai molti progressi compiuti negli ultimi decenni nella cura dei tumori che hanno portato una fetta crescente dei pazienti a guarire del tutto o trasformare il cancro in una malattia cronica con la quale convivere anni. Nasce così una nuova sfida per gli specialisti, ovvero fare in modo che questo «esercito» in crescita torni ad avere una vita piena e soddisfacente, arginando il più possibile gli strascichi che la neoplasia e le terapie possono aver lasciato su mente e corpo dei pazienti. «Stiamo prendendo consapevolezza che serve un migliore sostegno ai pazienti per riprendersi la propria vita dopo il cancro — commenta Saverio Cinieri, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) —. I controlli standard nel follow up dei pazienti oncologici che abbiamo adottato finora potrebbero non essere più adatti a chi supera una neoplasia oggi. Inoltre, nel ritorno alla quotidianità, una parte molto significativa di queste persone continua a soffrire di “piccoli” disturbi che possono avere un grande impatto sulla qualità di vita, che dobbiamo e possiamo arginare».

In numeri: 3,6 milioni di italiani vivi dopo il cancro

Le statistiche più recenti, aggiornate al 2020, indicano che sono 3,6 milioni in tutto, pari al 6% della popolazione gli italiani vivi dopo una diagnosi di cancro: in pratica un connazionale su 17 ha avuto un tumore, con un incremento del 37% rispetto a 10 anni fa. E almeno un ex paziente su quattro, quasi un milione di persone, è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale per cui può considerarsi definitivamente guarito. «I miglioramenti nella diagnosi precoce e nelle terapie ci hanno portato ad avere, in molti casi, una lunga, lunghissima, sopravvivenza — commenta Massimo Di Maio, segretario nazionale di Aiom —: circa il 60% dei nostri malati supera la “simbolica” soglia dei 5 anni dalla diagnosi, anche se naturalmente questo numero è molto diverso a seconda del tipo di neoplasia. Perché questo successo sia goduto a pieno, dobbiamo anche fare in modo di limitare e gestire al meglio anche i possibili effetti collaterali a lungo termine delle cure. Accade troppo spesso che i medici non affrontino questo aspetto e pochi pazienti ne parlano, ma godere di una buona qualità di vita è un obiettivo raggiungibile e bisogna unire gli sforzi per conquistarlo».

Conseguenze indesiderate

Alcune conseguenze indesiderate sono molto comuni durante o immediatamente dopo le terapie: irritazioni cutanee, nausea e vomito, diarrea, infiammazioni del cavo orale, perdita dell’appetito e di peso, gonfiore di braccia o gambe (o linfedema) sono diffusissimi. L’entità del disturbo in parte è soggettiva e in parte dipende da qual è e quanto è «pesante» la cura prescritta al singolo malato, sia che si tratti di radioterapia che di chemioterapia o nuovi farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapia (che sono sì meno tossici, ma non scevri da conseguenze). «Se correttamente segnalati, però, questi sintomi possono spesso essere combattuti o persino prevenuti — sottolinea Franco Perrone, presidente eletto di Aiom e oncologo direttore dell’Unità sperimentazioni cliniche dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli —. Un passo importante, anche in Italia, dal punto di vista dell’attenzione alla “voce” dei pazienti nella descrizione dei disturbi e dei sintomi è stato fatto grazie a questionari (i cosiddetti patient reported outcomes) in cui i diretti interessati segnalano e riportano in autonomia e in maniera dettagliata gli effetti collaterali della terapia antitumorale che viene loro somministrata. Pazienti, ex e familiari devono sapere che questi disturbi così come l’impatto psicologico che spesso accompagna la neoplasia non sono “inevitabili” e non vanno sopportati con rassegnazione, né trascurati o minimizzati».

Ansia, depressione, disturbi dell’umore

Se, infatti, praticamente tutti i malati affrontano uno choc emotivo al momento della diagnosi, quando rabbia, angoscia e paura prendono il sopravvento, anche successivamente circa il 75% delle persone guarite o cronicizzate mostra sintomi di disagio: ansia, depressione, disturbi dell’umore perdurano spesso a lungo, anche anni dopo aver finito le cure. A fotografare la realtà è uno studio presentato al convegno della European society of medical oncology (Esmo) 2021 da ricercatori tedeschi del Cancer research Centre all’Università di Heidelberg che ha analizzato i dati relativi a oltre 2.500 pazienti con 15 diversi tipi di cancro due anni dopo la scoperta della malattia e ha indagato sia quali fossero i disturbi più comuni fra i partecipanti, sia la loro gravità e la soddisfazione per i rimedi ottenuti. Uno dei sintomi più comuni e perduranti è risultata essere la fatigue, un senso di stanchezza cronica, che viene segnalata di entità moderata o grave dal 40% degli interpellati anche quattro anni dopo la diagnosi, insieme a una perdita generalizzata di abilità fisica. Seguono, nella classifica: disturbi del sonno, problemi sessuali, dolori articolari, ansia, neuropatia, disordini cardiocircolatori e osteoporosi. Il malcontento maggiore riguarda le soluzioni ottenute per le problematiche relative alla sessualità, ma in generale oltre un terzo dei partecipanti giudica scarso il sostegno ricevuto in base alle proprie necessità.

Fatigue

«Quasi tutti i malati di cancro soffrono, almeno per un breve periodo, di fatigue — commenta Paolo Tralongo, direttore dell’Oncologia medica della Rete di assistenza oncologica della provincia di Siracusa, dove è attiva una Clinica per i lungo-sopravviventi —: è un complesso di sintomi che porta a una riduzione dell’energia fisica, delle capacità mentali e ha riflessi anche sullo stato psicologico». È come una somma di tensione sia psicologica che fisica che l’organismo è costretto a sopportare, che viene sottovalutata dai diretti interessati per primi, perché considerata inevitabile, «parte integrante» della vita di un paziente oncologico, «ma diversi studi hanno dimostrato che fare attività fisica di lieve o moderata intensità, curare la propria dieta e il sonno sono di grande aiuto nel combattere questo problema — spiega Tralongo —. Inoltre, riferire il problema al medico può aiutare a valutare se tra cause ci possa essere una forma di anemia risolvibile, a integrare gli stili di vita con eventuali trattamenti antidepressivi o contrastando eventuali deficit vitaminici e nutrizionali». Spossatezza, nervosismo, difficoltà ad addormentarsi o ad avere un sonno riposante, lieve dissenteria, disfunzione erettile, calo del desiderio, secchezza vaginale: l’elenco dei «fastidi» è lungo e soltanto la metà di chi ne soffre osa parlarne apertamente con l’oncologo.

Parlare con il medico

«Non bisogna vergognarsi di rivolgersi a uno psicologo, spesso una figura presente oggi nei reparti di Oncologia — dice Di Maio, direttore dell’Oncologia all’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino —. Quando necessario si può valutare l’utilizzo di farmaci antidepressivi, ma diversi studi indicano l’impatto benefico che possono avere yoga e meditazione nell’abbassare i livelli di stress, ansia e depressione e utili anche per i problemi di sonno». Per vivere meglio è indispensabile superare la coltre di silenzio, che è particolarmente fitta quando il problema è sessuale: avere un’intimità soddisfacente è però possibile e i sussidi disponibili sono molti, che vanno prescritti a seconda del disturbo e della condizione del singolo paziente. «Il compito del medico durante il follow up dei pazienti oncologici non è solo quello di identificare le eventuali recidive di malattia, ma anche prestare attenzione ai tanti aspetti della qualità di vita in modo da rispondere in maniera adeguata alle nuove esigenze che sempre più persone si trovano ad affrontare» conclude Di Maio. Va in questa direzione la linea guida sui lungoviventi realizzata da Aiom e aggiornata nel 2020. «La riabilitazione oncologica ha un’importanza strategica per la qualità della vita dei pazienti, perché è alla base del recupero del benessere fisico e psicologico — conclude Cinieri, direttore dell’Oncologia medica e Breast Unit dell’Ospedale Perrino di Brindisi —. In Italia però mancano strutture e specialisti. È indispensabile strutturarla all’interno degli ospedali, rimborsarla attraverso il Servizio sanitario nazionale e renderla fruibile tramite l’assistenza sul territorio, per seguire le persone quando tornano a casa senza intasare gli ospedali con un carico aggiuntivo».

Diritto alla riabilitazione

«La nuova sfida della sopravvivenza al cancro, per i pazienti e i clinici, è quella di andare oltre la qualità delle cure e garantire la qualità della vita». A richiamare da anni l’attenzione di medici e istituzioni sulle molteplici necessità legate alla riabilitazione è anche Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle Associazioni di volontariato in oncologia (Favo), impegnata anche sul fronte della difesa dei diritti sia dei malati sia di chi li assiste, familiari o caregiver. «Il riconoscimento del diritto, finora negato, alla riabilitazione oncologica per superare le più o meno gravi disabilità conseguenti ai trattamenti terapeutici, che permangono anche nelle persone guarite, rappresenta la condizione essenziale per il ritorno a una vita normale e produttiva» sottolinea De Lorenzo.

 

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