Tumore al seno e recidive: perché le cellule cancerose si risvegliano dopo anni

Uno studio mette in luce il pericolo di ricaduta e metastasi anche dopo 15 o 20 anni dal primo tumore al seno. Quando si verifica, il «rude awakening» è spesso letale rapidamente. Ecco chi sono le pazienti più a rischio e cosa dovrebbero fare

 Perché si parla di «rude awakening» ovvero duro risveglio?

Le cellule cancerose restano dormienti in una minoranza di donne con tumore al seno, che hanno scoperto la malattia alle sue fasi iniziali e sono state curate con successo (prima con chirurgia e poi con terapia ormonale) per cinque anni. «Lo abbiamo definito duro risveglio perché quando si verifica, magari dopo 10 o 20 anni di “sonno”, la ripresa attività delle cellule cancerose è spesso “rude”, letale rapidamente. Finora non se ne capivano i meccanismi, ma la ricerca sta facendo progressi», spiega Giuseppe Curigliano, direttore della divisione per lo sviluppo di Nuovi farmaci e Terapie innovative dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e autore di un’analisi appena pubblicata sulla rivista scientifica Nature insieme alla collega portoghese Fatima Cardoso.

Ci sono nuovi studi sul tema?

Uno studio diffuso lo scorso novembre 2017 sul New England Journal of Medicineha rianalizzato i dati di ben 88 sperimentazioni riguardanti donne con un carcinoma mammario ER-positivo, ovvero un sottotipo di cancro al seno caratterizzato dal suo essere dipendente dagli ormoni (estrogeno-positivo). In tutto sono state valutate le informazioni relative a quasi 63mila pazienti con un tumore metastatico, che erano state curate in precedenza con chirurgia e terapia ormonale per cinque anni. Tutte le partecipanti erano libere da malattia allo scadere della cura, il cui scopo è quello di ridurre l’attività degli estrogeni, per impedire alle cellule cancerose di diffondersi.Ne è emerso che, nel periodo che va da 5 a 20 anni dalla diagnosi, il tasso di ricadute resta invariato e che il rischio di metastasi è legato alle caratteristiche di aggressività del carcinoma iniziale (il suo diametro e l’interessamento dei linfonodi).

Quanti sono i nuovi casi ogni anno?

«Su 48mila nuovi casi di cancro al seno diagnosticati annualmente nel nostro Paese, circa il 70% rientrano nel sottotipo ER-positivo – spiega Curigliano -. Queste pazienti ricevono, come trattamento standard per la loro patologia, 5 anni di ormonoterapia se sono a basso rischio di recidiva, 10 anni se lo stadio del tumore e la biologia le classificano ad alto rischio. Nel caso di tumori a basso rischio, piccoli, molto sensibili alla cura con ormoni, con bassa proliferazione di cellule cancerose, la sopravvivenza delle pazienti è superiore al 95 per cento».

Chi guarisce e chi invece è a rischio di ricaduta ancora dopo 20 anni?

«Si possono definire guarite tutte quelle donne con una diagnosi molto precoce, con una stadio I, ovvero tumori piccoli senza interessamento dei linfonodi alla diagnosi, con elevata sensibilità alla terapia ormonale e un basso indice di proliferazione (ovvero le cui cellule cancerose si moltiplicano lentamente e poco). Penso questi tumori possano avere una sopravvivenza vicina alla “mortalità zero”. Il pericolo di ricaduta, anche a molti anni di distanza, riguarda invece le pazienti che hanno alla diagnosi una neoplasie di dimensioni più grandi, con più linfonodi già interessati dalla malattia e un alto indice di proliferazione».

Come si spiega il letargo di queste cellule?

«La nostra conoscenza della biologia delle cellule residue dormienti dopo terapia adiuvante è molto limitata – risponde Curigliano -: ci sono più fattori da tenere in considerazione per capire perché e come alcune cellule tumorali che sopravvivono ai trattamenti anticancro si annidano in una nicchia, dove rimangono dormienti per decenni per poi improvvisamente risvegliarsi. Se uno qualsiasi di questi fattori cambia, il “letargo” viene disturbato e le cellule cancerose si destano bruscamente, iniziando lo sviluppo di malattia metastatica».

Quali controlli potrebbero aiutare le donne operate di tumore al seno?

«Tutte le donne con diagnosi di carcinoma mammario dovrebbero sottoporsi, a vita, a una mammografia annuale e a un’ecografia mammaria e dei cavi ascellari semestrale. Tutti gli ulteriori esami si richiedono per monitorare eventuali tossicità dalla terapia ormonale o in accordo a segnali clinici (dolori, alterazioni degli esami ematici, sintomi respiratori o di altro tipo) che ci indurranno ad approfondire con indagini mirate sugli organi dove segni e sintomi si manifesteranno ».

Ha senso continuare la terapia ormonale oltre i 5 anni?

«Prolungare la terapia ormonale oltre i 5 anni è indicato solo in quelle pazienti che riteniamo possano avere un maggiore pericolo di recidiva: tumori più grandi alla diagnosi, molti linfonodi metastatici, alta proliferazione. Il “costo” da pagare è un maggiore rischio di osteoporosi e cardiovascolare, oltre a maggiori effetti collaterali quali vampate notturne e dolori articolari (che variano da soggetto a soggetto). Una terapia intermittente sembra essere gravata da minori effetti collaterali. I pro sono legati al minore rischio di recidiva locale del tumore. Ci sono poi studi che stanno valutando se estendere l’ormonoterapia prevenga o meno le metastasi, e quindi porti benefici nell’allungare la sopravvivenza delle pazienti: ma è presto per poter dare risposte in questo senso, il follow up delle partecipanti a questi trial è ancora troppo breve»

Stili di vita: cosa riduce davvero il pericolo di ricadute?

«Quello che sappiamo è che l’obesità riduce l’efficacia della terapia ormonale, in particolare quella degli inibitori delle aromatasi – conclude Curigliano -. Una raccomandazione importante per i nostri pazienti è quindi evitare il sovrappeso e un’alimentazione che aumenta il rischio di sindrome metabolica. Diversi studi poi dimostrano chiaramente che l’esercizio fisico inteso come “mantenersi in forma” mantiene e migliora la salute muscolo-scheletrica, riduce il rischio metabolico e cardiovascolare, e indirettamente dà un impatto sulla migliore tollerabilità di alcune terapie ormonali».

 

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